Giovanni Zappacosta Commercialista Sportivo

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Sport e Salute: nuovo logo, ma lo sport resta un lusso in Italia
GiovanniZappacosta | Settembre 27, 2025

C’è un nuovo logo, c’è un nuovo slogan. “Perché lo sport è vita.” Bello, accattivante, emozionale. Ma la prima domanda che mi è venuta in mente è stata semplice e diretta: e adesso? Cosa cambia davvero per chi vive lo sport ogni giorno, nelle palestre, nei campi, nelle ASD e SSD che faticano a tenere in piedi i bilanci?

Vedo troppa distanza tra la comunicazione istituzionale e la realtà quotidiana. Da un lato abbiamo un brand nazionale che si veste di inclusione e movimento, dall’altro famiglie che rinunciano a iscrivere i figli a un corso perché non possono permetterselo. È questa la contraddizione che mi colpisce: uno slogan che parla di vita, ma una realtà in cui lo sport è sempre più un lusso. 

Se sei un dirigente di ASD o SSD e vivi ogni giorno queste difficoltà, sappi che non sei solo. Ti aiuto a districarti tra normative, fiscalità e strategie di crescita, perché so quanto sia complesso lavorare in un settore pieno di potenzialità ma poco supportato. Puoi prenotare direttamente una prima consulenza gratuita dal mio sito: sarà l’occasione per capire insieme come migliorare la gestione della tua realtà sportiva e trasformare la burocrazia in un alleato, non in un ostacolo.

Non mi basta un restyling grafico, perché la vera sfida non è estetica. La vera sfida è “sporcarsi le mani”, entrare nei territori, assumersi la responsabilità di creare impianti e servizi pubblici che diano davvero a tutti la possibilità di praticare sport.

Quando parlo di sporcarsi le mani, penso a interventi concreti. Penso a centri sportivi pubblici gestiti direttamente, dove i ragazzi possano allenarsi senza dover pagare abbonamenti proibitivi. Penso allo sport gratuito fino ai 18 anni, che sarebbe il modo più intelligente di investire nella salute e nel futuro delle nuove generazioni. Penso a tariffe calmierate per gli adulti, per evitare che l’accesso all’attività fisica diventi un privilegio per pochi. Penso a campi sportivi in ogni parco, spazi semplici, funzionali e aperti a tutti. 

Illustrazione flat di una relatrice che presenta dati in una struttura sportiva con campo da calcio, simbolo di gestione e politiche pubbliche nello sport.

Non sono fantasie. All’estero queste soluzioni sono realtà. Ci sono città europee dove ogni quartiere ha un campo da basket accessibile gratuitamente, o dove la corsa e il fitness outdoor sono incoraggiati con infrastrutture pubbliche curate e sicure. In Italia, invece, ci accontentiamo di bandi una tantum e di slogan. 

Se guardiamo bene, la responsabilità viene lasciata quasi interamente ai privati. Sono le ASD e le SSD a farsi carico di affitti, utenze, manutenzione, contributi per istruttori e allenatori. Sono loro a inventarsi formule di engagement e pacchetti di servizi per sopravvivere. Io lavoro ogni giorno con queste realtà, le vedo affrontare burocrazia e scadenze fiscali, e so bene quanto sia complesso mantenere in equilibrio i conti.

Proprio per questo non riesco a farmi bastare un nuovo logo. Mi chiedo sempre: se Sport e Salute vuole davvero incarnare il messaggio che “lo sport è vita”, perché non prende l’iniziativa in modo diretto? Perché non assume il ruolo di gestore, di regista, di attore operativo?


Il tema non è solo economico, è culturale. In Italia lo sport è ancora percepito come attività accessoria, non come diritto universale. Lo Stato spende per curare malattie legate alla sedentarietà, ma non investe in modo strutturale nella prevenzione attraverso il fitness. Ogni tanto arriva un incentivo, un bando, un progetto di promozione sportiva, ma manca un piano a lungo termine. E allora il nuovo brand di Sport e Salute rischia di restare una facciata patinata che non incide davvero sulla vita delle persone.

Se davvero vogliamo parlare di sport come strumento di salute, coesione sociale e crescita economica, dobbiamo cambiare prospettiva. Un approccio serio allo sport pubblico significherebbe mettere in campo un modello simile a quello sanitario: un servizio che tutti possono utilizzare, indipendentemente dal reddito. E invece oggi la pratica sportiva è condizionata dal portafoglio delle famiglie.

Il risultato è un paradosso: Sport e Salute comunica inclusione, ma nella realtà le ASD e SSD, che dovrebbero essere le colonne portanti del sistema, si ritrovano schiacciate da costi crescenti e sostegni discontinui. Non è così che si costruisce un futuro solido per lo sport italiano.


Lo so, qualcuno dirà che i vincoli di bilancio pubblico rendono impossibile pensare a sport gratuito o a impianti in ogni quartiere. Ma allora la vera domanda è: cosa vogliamo davvero dallo sport? Se lo consideriamo solo intrattenimento o spettacolo, allora va bene così. Ma se diciamo che lo sport è salute, prevenzione e formazione, allora diventa doveroso pensare a un modello di investimento diverso. 

Illustrazione flat di un uomo che riflette davanti al computer sulla scarsa qualità dei campi sportivi pubblici in Italia.

Come commercialista sportivo, vedo ogni giorno i bilanci delle ASD e SSD. Vedo come sopravvivono grazie a soluzioni creative, sponsorizzazioni locali, autofinanziamento. Vedo come si muovono tra normative complesse, come quelle legate alla Legge 398/1991, che pure è stata modificata più volte e continua a creare incertezze. Vedo la differenza enorme tra la retorica nazionale e la fatica quotidiana delle realtà di base.

Ho affrontato questo tema anche parlando del Fondo Dote Famiglia, una misura che ha messo in evidenza quanto siano importanti gli strumenti di sostegno diretto alle famiglie. Perché se il costo di accesso allo sport resta alto, l’inclusione rimane un’illusione.

La verità è che lo sport non ha bisogno solo di slogan, ha bisogno di visione e di coraggio politico. Ha bisogno di un piano nazionale che non si limiti a finanziare eventi o grandi manifestazioni, ma che investa in palestre scolastiche, in strutture di quartiere, in formazione degli allenatori, in percorsi di fitness accessibili a tutti.


Il nuovo logo di Sport e Salute, con le sue forme aperte e il suo significato inclusivo, rischia di essere un simbolo vuoto se non viene accompagnato da interventi concreti. Non è questione di estetica, è questione di credibilità. Perché uno slogan istituzionale non paga la retta della palestra, non mette a disposizione un istruttore qualificato, non apre una struttura sportiva in un quartiere periferico.

Io credo che lo sport italiano abbia un potenziale enorme. Abbiamo associazioni sportive straordinarie, volontari appassionati, professionisti competenti. Abbiamo un patrimonio culturale che lega lo sport alla comunità, alla socialità, all’educazione. Ma senza un sostegno pubblico forte, restiamo prigionieri di un sistema in cui tutto dipende dalle energie dei privati.

E allora, ogni volta che sento parlare di un nuovo logo o di un nuovo slogan, mi torna in mente la stessa domanda: perché non costruire campi invece di parole? Perché non investire in impianti, in accessibilità, in progetti concreti, invece di limitarsi a cambiare immagine? 

Illustrazione flat di due operai che costruiscono insieme un’infrastruttura, simbolo di interventi concreti per lo sport di base.


Uno slogan non basta. Se Sport e Salute vuole essere credibile, deve dimostrare che “lo sport è vita” significa garantire a ogni cittadino l’accesso a impianti, corsi e attività. Fino a quando non vedremo campi sportivi nei parchi, palestre scolastiche aperte e tariffe accessibili, resteremo nel paradosso di un ente nazionale che comunica inclusione ma lascia l’iniziativa ai privati. 

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